03/07/2018
Nel 2014 Sheila Ricci, nonostante l'età giovanissima, aveva già un paio d'anni d'esperienza nell'insegnamento dell'inglese in una scuola d'infanzia di Roma, dove però per mancanza di una qualifica specifica poteva fare solo ricoprire il ruolo di esperta esterna portando avanti attività di conversazione e altre iniziative didattiche accessorie, senza la possibilità di un diverso inquadramento. Decise allora che era il momento di dare una prima svolta alla sua carriera di docente, con un obiettivo preciso: ottenere un contratto per poter entrare in aula come insegnante nelle classi della scuola elementare e media che erano ospitate in altri plessi dell'istituto in cui operava. Per poter fare questo salto di qualità ha puntato sul CELTA (Certificate in Teaching English to Speakers of Other Languages). Una scelta premiata visto che grazie alla certificazione conseguita, e al nuovo approccio alla didattica acquisito nel corso necessario per ottenerla, dac allora la sua evoluzione professionale l'ha portata a una costante crescita. Oggi infatti lavora in una scuola Cambridge English International di Roma, dove si occupa di classi del ciclo della primaria e della secondaria inferiore: “Dal CELTA in poi cambia tutto”, sottolinea parlando della sua esperienza.
Perché ha scelto di provare a conseguire il CELTA?
Non è stata una decisione difficile. Tutti nel settore della scuola e dell'insegnamento dell'inglese conoscono il valore del CELTA, sia per l'organizzazione e per la qualità dei corsi sia per la carta in più che la certificazione costituisce per la propria carriera agli occhi di molti datori di lavoro. Nel mio caso mi ha aiutato a realizzare il progetto che avevo in mente, che sarebbe stato molto più difficile da concretizzare senza questo titolo.
Come è stata l'esperienza del corso CELTA?
Ottima, da tutti i punti di vista. A partire dalla possibilità di lavorare e confrontarsi con una compagine di partecipanti di provenienza e competenze variegate. Nel mio corso c'erano sia insegnanti madrelingua che docenti bilingue come me. E molto variabile era anche l'età e l'esperienza nell'insegnamento dei miei compagni, si andava da chi era all'inizio della sua carriera a chi operava nella didattica da anni. Nonostante questo si è creata un'ottima interazione tra di noi, anche grazie a una classe non troppo numerosa, che poi si è tradotta in una proficua collaborazione in tutte le fasi di esercitazioni di gruppo. Lavorando fianco a fianco siamo cresciuti insieme, e ognuno ha dato il suo contributo a questo progresso comune con le sue diverse caratteristiche e stili d'insegnamento.
Sono state proficue anche l'interazione e il rapporto con i tutor del corso?
Sì, e anche da questo punto di vista, oltre alle nozioni che si acquisivano grazie alle materie affrontate, è già stato prezioso poter vedere il diverso approccio dei vari tutor, osservare come nella veste di insegnanti gestivano e guidavano il gruppo. C'era chi aveva un'impostazione più schematica e “frontale”, e chi invece preferiva una lezione più interattiva. Così potevamo apprezzare i diversi modi di presentare tanto gli argomenti più teorici, dalla grammatica alle tecniche di listening, quanto la pianificazione delle lezioni che poi dovevamo portare avanti noi nella parte più pratica del corso. In entrambe le fasi si può dire che imparassimo non solo tramite le nozioni che ci venivano spiegate o le esperienze dirette che facevamo, ma anche tramite l'osservazione dei comportamenti di questi formatori così esperti e preparati.
Quanto è stata importante la parte di pratica in aula che avete affrontato?
Direi che è stata fondamentale e perfettamente complementare con quella teorica. Di solito si svolgeva nella mattina e in tre partecipanti ci dividevamo per un'ora e mezza una classe occupandoci ognuno o di un aspetto specifico dell'apprendimento (come listening, vocabulary o speaking) o di differenti argomenti del programma didattico. Si lavorava insieme e dopo la lezione col tutor si esaminavano le difficoltà emerse e le possibili strategie per risolverle o gestirle al meglio. Molto utile era poi il feedback che avevamo dagli stessi studenti ai quali avevamo fatto lezione.
Un approccio così vicino all'effettiva realtà dell'insegnamento è stato utile per migliorare?
Molto. Si tratta di un corso che richiede un forte impegno, anche emotivo, ma che in cambio dà risultati importanti. In alcuni casi è un po' come una sfida: ad esempio ricordo che nella prima giornata, prima di iniziare la preparazione effettiva, ci chiesero di entrare subito in aula per una prova d'insegnamento concreta, credo per vedere come avremmo reagito. È stato molto stimolante, anche se non semplice. Progredendo con le lezioni e le ore di pratica ho acquisito poi sicurezza e fiducia e imparato tante cose su me stessa e sul mio metodo didattico, anche attraverso l'osservazione e i rilievi degli altri. Ho ad esempio scoperto che in aula parlavo troppo, mi mettevo eccessivamente “al centro” delle lezioni, un aspetto su cui poi ho lavorato migliorandolo. E mi sono resa conto anche delle caratteristiche che mi accomunano agli altri insegnanti italiani e che in parte ci differenziano dai docenti madrelingua: noi siamo ad esempio preparati in maniera più specifica sulla grammatica e altre nozioni teoriche, ma abbiamo maggiori difficoltà ad andare oltre un modello di docenza tradizionale per aumentare l'interazione con gli studenti ed operare insieme a loro come un vero gruppo.
Consiglia quindi il CELTA a cui vuole insegnare l'inglese?
Sì, senza dubbio. Il CELTA cambia proprio il modo del docente di stare in classe, il suo approccio, gli obiettivi formativi che si pone e che sa raggiungere. Si sviluppa la capacità di comprendere meglio gli studenti che si hanno davanti e di individuare i loro bisogni specifici. Così è possibile elaborare, sia nella fase preventiva di pianificazione della lezione che nell'affrontare gli eventuali imprevisti che possono capitare in aula, soluzioni adatte alle esigenze di ogni singolo alunno. Tutto questo grazie a una nuova consapevolezza e alla conoscenza degli strumenti giusti e del momento più opportuno in cui utilizzarli. Una crescita che poi continua nel tempo e di cui beneficiano sia l'insegnante che gli alunni che lo seguono.
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